GIUSTIZIA TRIBUTARIA, NUOVO ART. 92 CPC: NORMA DI CIVILTÀ PER LIMITARE LE COMPENSAZIONI DELLE SPESE PRO AMMINISTRAZIONE E RENDERE CONVENIENTI ANCHE I RICORSI SOTTO I DUEMILA EURO. SUPERATA LA STORIELLA DI PEPPONE E DEL VITELLINO?– di Cleto Iafrate

mercoledì 16 giugno 2010

GIUSTIZIA TRIBUTARIA, NUOVO ART. 92 CPC: NORMA DI CIVILTÀ PER LIMITARE LE COMPENSAZIONI DELLE SPESE PRO AMMINISTRAZIONE E RENDERE CONVENIENTI ANCHE I RICORSI SOTTO I DUEMILA EURO. SUPERATA LA STORIELLA DI PEPPONE E DEL VITELLINO?

Di seguito, un articolo di Cleto Iafrate sui possibili effetti della nuova formulazione dell’art. 92 c.p.c. sul processo tributario. Il titolo è della redazione del sito.

 

In un precedente articolo (http://www.ficiesse.it/news.php?id=3933) sostenevo che se la sanzione prevista da una cartella esattoriale non supera almeno 2mila euro è preferibile pagarla, anche se presumibilmente non dovuta, piuttosto che ricorrere. Infatti, risulterebbe antieconomico intraprendere la via tortuosa ed in salita del contenzioso tributario, in quanto se ne uscirebbe economicamente sconfitti anche in caso di vittoria.

Un ipotetico “attento lettore” potrebbe non condividere quanto appena detto; egli potrebbe far presente che, se all’esito del contenzioso dovesse emergere che la sanzione non era dovuta, il ricorrente si vedrebbe rifondere le spese di giudizio precedentemente anticipate, quindi uscirebbe dal contenzioso economicamente vittorioso. Potrebbe chiedersi, inoltre, cosa rappresenta la cifra di duemila euro.

Per entrare in argomento delle spese di giudizio, prendo spunto da una storiella frutto della saggezza popolare che mi sembra significativa.

In un piccolo paesino ad economia prevalentemente rurale, vivevano Peppone e Camillo, allevatore il primo e contadino il secondo. In tutto il paese c’era un solo avvocato. Un giorno una mucca gravida scappò dalla stalla di Peppone per andare a partorire nella proprietà di Camillo, confinante di Peppone. Ne nacque una disputa tra i due sulla proprietà del vitellino. L’indomani Peppone si recò dall’avvocato del paese. Questi, seduto dietro ad un’elegante scrivania, lo ricevette insieme a suo figlio, che studiava per diventare avvocato anche lui. Peppone raccontò la vicenda e chiese all’avvocato di chi fosse il vitellino. Il professionista domandò: “Sei sicuro che la mucca fosse gravida quando è fuggita? Puoi provarlo?” L’altro rispose: “Certo che posso provarlo, tutti ne erano a conoscenza”. Poi consultò attentamente il codice che aveva sulla scrivania e sentenziò: “Mio caro amico, il vitellino è tuo”. Il giorno appresso, anche Camillo si recò dall’avvocato per un consulto; raccontò i fatti e chiese di chi fosse il vitellino. L’avvocato rivolse anche a lui una domanda: “Sei sicuro che la mucca abbia partorito nella stalla di tua proprietà? Puoi provarlo? L’altro rispose: “Certamente, l’ho fatta partorire io stesso con l’aiuto di mio figlio”. L’avvocato consultò il codice e sentenziò: “Mio caro amico, il vitellino è tuo”. Rimasto solo con il padre, il figlio dell’avvocato, che aveva ascoltato fino al quel momento con molta attenzione, senza mai intervenire, chiese perplesso al genitore: “Papà, potresti dirmi di chi è effettivamente il vitellino?”. L’esperto conoscitore della legge e non solo, disse al figlio con tono deciso: “Mio amato figlio, il vitellino è nostro!”.

Ebbene, mio “attento lettore”, la cifra di euro duemila rappresenta il vitellino.

Proseguo. L’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546/92, dopo aver sancito il principio della soccombenza, dispone che la Commissione Tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile.

Tale norma, che deroga al principio generale della soccombenza nel riparto delle spese di giustizia, negli ultimi anni è stata rivisitata dal legislatore ben due volte. Il testo originario così disponeva: “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.

La prima modifica è stata introdotta con la L. 263/2005, la quale impose che i “giusti motivi” dovessero essere “esplicitamente indicati nella motivazione”.

Ci si aspettava che tale modifica avesse l’effetto di ridurre il potere compensativo dei giudici; purtroppo non fu così. Infatti, nell’ambito tributario, nella maggioranza dei casi, le spese sono rimaste a carico del contribuente anche quando è risultato vittorioso, spesso senza un’esplicita motivazione.

Analizzando qualche dato statistico, si può prendere ad esempio la regione Liguria, che rispecchia i dati nazionali. Il Direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate della Liguria Dott. Franco Latti, nel suo intervento alla cerimonia di apertura dell’Anno Giudiziario Tributario 2009, dopo aver fornito i dati circa gli esiti dei ricorsi, ha affermato: “un altro utile indicatore della qualità del contenzioso, in termini di sostenibilità della pretesa tributaria, è fornito dalla condanna alle spese di giudizio. Infatti, sulla base dei dati relativi alle sentenze depositate nel 2008 (…) NELLA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEI CASI (CIRCA IL 90%), LE SPESE DI GIUDIZIO SONO STATE COMPENSATE TRA LE PARTI. Ciò, evidentemente, significa che è stato applicato con molta moderazione il principio in base al quale la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese in giudizio, verosimilmente perché la pretesa tributaria, nella stragrande maggioranza dei casi, risulta sostenibile.”

A mio avviso, le spese sono state compensate nel 90% dei casi non perché la pretesa tributaria fosse sostenibile, bensì perché, nella stragrande maggioranza dei casi, è stata abusata l’applicazione dell’art. 92, secondo comma, del c.p.c, oppure perchè molti ricorrenti si chiamavano Peppone e Camillo.

Fortunatamente le cose sono destinate a cambiare, a seguito della seconda modifica che la legge 69/2009 ha apportato all’art. 92 c.p.c.=

Secondo l’attuale testo della norma, occorrono “gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione” per poter compensare le spese, in deroga al principio generale della soccombenza. Orbene, sia “i giusti motivi” che “le gravi ed eccezionali ragioni” altro non sono che formule di stile; però, la seconda formula circoscrive fortemente le ipotesi di compensazione delle spese, in presenza di una sola parte soccombente.

Solo in futuro si potranno giudicare gli effetti dell’ultima innovazione normativa, in quanto i contenziosi iniziati dopo l’entrata in vigore della L. 69/2009, per la maggior parte, non sono stati ancora decisi (la norma è in vigore il 04 luglio 2009 e si applica alle liti iniziate dopo tale data).

Indipendentemente da quelli che saranno i risvolti applicativi della norma, ritengo che il contribuente vittorioso che si vede compensare le spese dal Giudice Tributario debba rivolgersi al giudice ordinario (tribunale ordinario o giudice di pace) per invocare la denegata giustizia ai sensi dell’art. 2043 c.c., secondo il quale “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

La regola che chi cagiona un danno ad altri deve risarcirlo, infatti, vale anche per l’Amministrazione Finanziaria. Affinché il danno possa considerarsi ingiusto, il contribuente deve dimostrare di essere stato costretto a ricorrere per contrastare una pretesa impositiva palesemente infondata. A tali fini assume importanza la richiesta di annullare l’atto ingiusto mediante Autotutela.

Lo stesso ipotetico “attento lettore” di cui si parlava prima potrebbe pensare: “Dopo aver regalato il vitellino all’avvocato per ottenere dal Giudice Tributario una sentenza favorevole ma con compensazione delle spese, perché dovrei dare anche la mucca all’avvocato per ricorrere al Tribunale Ordinario contro la sentenza rischiando di vedermi nuovamente compensate le spese?”

Affido la mia risposta alle parole di Muhammad Yunus, il banchiere dei poveri, Premio Nobel per la Pace 2006. “Il mondo che ci circonda è il prodotto di quello che noi pensiamo del mondo: non è solo quello che osserviamo, ma ciò che noi abbiamo creato. Finché non penseremo in modo diverso, le cose non andranno diversamente.”


CLETO IAFRATE
iafrate70@libero.it

 


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